“Giovanni Pascoli e la sua passione per la buona tavola”
Giovanni Pascoli nacque a San Mauro di Romagna, in provincia di Forlì, il 31 dicembre 1855 e trascorse la sua infanzia con la sua famiglia numerosa nella fattoria La Torre. Appena dodicenne perse tragicamente il padre, misteriosamente assassinato mentre rincasava. L’anno successivo morirono la madre e la sorella maggiore e, poco dopo, altri due fratelli.
Certamente le vicende tristissime della sua famiglia, a cui egli assistette da fanciullo, lasciarono un solco profondo nel suo animo ed influirono sul suo carattere e conseguentemente sulla sua poesia.
Infatti questi lutti gli ispirarono il mito del “nido” famigliare da ricostruire, tema ricorrente nella sua produzione poetica.
A tal fine si rifugia, nel 1895, a Castelvecchio di Barga, insieme alla sorella Maria. I due fratelli avevano trovato qui il rifugio ideale allo scopo prefisso: ricordare e rivivere i sentimenti e le emozioni della fanciullezza.
Uno dei passatempi preferiti dai due era stare attorno al focolare con il paiolo di rame sempre sul fuoco, intenti a ricreare sapori e odori della cucina della loro infanzia, di modo da far rivivere tutti i componenti di un nucleo familiare ormai perduto.
Di Giovanni Pascoli è nota infatti la passione per la buona tavola, che per lui era tutt’uno con l’amore per la campagna, per i sapori semplici dell’orto, per i cibi genuini, che gli ricordavano le sue origini e l’infanzia.
Nelle sue liriche Pascoli tocca spesso il tema del cibo, e capita talvolta che se ne possano ricavare vere e proprie ricette, come in questo caso:
La piada
Il mio povero mucchio arde e già brilla:
pian piano appoggio sopra due mattoni
il nero testo di porosa argilla.
Maria, nel fiore infondi l’acqua e poni
Il sale; dono di te, Dio; ma pensa!
L’uomo mi vende ciò che tu ci doni.
Tu n’empi i mari, e l’uomo lo dispensa
Nella bilancia tremula: le lande
Tu ne condisci, e manca sulla mensa.
Ma tu, Maria, con le tue mani blande
Domi la pasta e poi l’allarghi e spiani;
ed ecco è liscia come un foglio, e grande
come la luna; e sulle aperte mani
tu me l’arrechi, e me l’adagi molle
sul testo caldo, e quindi t’allontani.
Io, la giro, e l’attizzo con le molle
Il fuoco sotto, fin che stride invasa
Dal color mite, e si rigonfia in bolle:
e l’odore del pane empie la casa.
(da Nuovi Poemetti IV)
La poesia è formata da terzine dantesche, terzine di endecasillabi a rima incatenata.
Pascoli utilizza qui termini precisi, (usati per descrivere il lavoro domestico) accostati a parole umili, quotidiane e in alcuni casi dialettali.
Il ritmo della poesia è molto particolare, ottenuto mediante l’uso di pause, di enjambements e di numerosi segni di punteggiatura con forte valore espressivo.
Nel testo possiamo individuare allegorie e metafore (es. come la luna) tipiche dello stile del poeta.
I temi sono quelli del mondo campestre e familiare, ricorrenti nell’intera produzione Pascoliana.
A tavola Pascoli prediligeva piadina, tagliatelle al ragù, erbe di campagna cotte che lui chiamava “ragazul” , la carne lessata e il pollo arrosto.
La dimora di Barga gli consentì di introdursi nell’ambiente lucchese, dove conobbe, tra gli altri, Gabriele Briganti, per il quale Pascoli scrive una delle più belle liriche di tutta la poesia del ‘900, quel Gelsomino notturno che si può considerare il manifesto del simbolismo italiano. Pascoli scrive questa poesia in occasione del matrimonio dell’amico, si può supporre che il poeta lo leggesse in occasione del pranzo, come ancora oggi si usa fare quando, ai matrimoni, alla fine del pranzo qualcuno viene chiamato a “fare il discorso”:
E s’aprono i fiori notturni,
nell’ora che penso a’ miei cari.
Sono apparse in mezzo ai viburni
Le farfalle crepuscolari.
Da un pezzo si tacquero i gridi:
là sola una casa bisbiglia.
Sotto l’ali dormono i nidi,
come gli occhi sotto le ciglia.
Dai calici aperti si esala
L’odore di fragole rosse.
Splende un lume là nella sala.
Nasce l’erba sopra le fosse.
Un’ape tardiva sussurra
Trovando già prese le celle.
La Chioccetta per l’aia azzurra
va col suo pigolìo di stelle.
Per tutta la notte s’esala
l’odore che passa col vento.
Passa il lume su per la scala;
brilla al primo piano: s’è spento…
E’ l’alba: si chiudono i petali
Un poco gualciti; si cova,
dentro l’urna molle e segreta,
non so che felicità nuova.
Quella che apparentemente sembra una descrizione di un paesaggio notturno evoca in realtà la prima notte di nozze in cui è stato concepito il figlio dell’amico. Alla luce di questo dato, tutta la poesia assume un valore simbolico.
In questa poesia scompare la struttura logica. Tale risultato è ottenuto tramite l’uso della paratassi e con la totale abolizione dei nessi logici: il risultato è un insieme di immagini, accostate senza un ordine apparente, tutte giocate sul rapporto vita-morte.
Il poeta accosta due temi apparentemente contrastanti: il ricordo dei morti e il formarsi di una nuova vita. Il tema della fecondazione e della nascita è svolto attraverso un intreccio di analogie e simboli.
La natura si rinnova anche al di fuori della casa, nel mondo degli uccelli, dei fiori, delle api: i gelsomini notturni, soli tra le altre creature addormentate, si aprono e per tutta la notte emanano il loro profumo.
L’intento di Pascoli è di lasciare che il lettore ricostruisca da solo i significati del testo, a partire dai pochi dati essenziali che questo gli offre.
Un altro degli amici lucchesi di Pascoli era Alfredo Caselli, che gestiva il cosiddetto Caffè “Carluccio”, dove si poteva bere del buon vino Chianti. Pascoli, amante dei vini, a Castelvecchio aveva la sua cantina privata ben fornita di vini romagnoli, Sangiovese, in primis, seguito dallo Champagne la Tour, prodotto alla torre (sua terra natale).
Forse proprio a causa della sua passione per la cucina e per il bere, nel 1912 il poeta si ammala di cirrosi epatica il che lo costringe a lasciare Castelvecchio per cercare cure più idonee a Bologna, dove muore nello stesso anno di tumore al fegato.
Per volontà della sorella Maria viene sepolto nel cimitero di Barga.
Bibliografia:
Laura di Simo, Alla Tavola di Mariù e Zvanì. Cibi pascoliani, Maria Pacini Fazzi editore, Lucca 2009
Monica Magri, Valerio Vittorini TRE Storia e testi della letteratura, Paravia, Milano 2006.